“L’intento alla base dell’amplificazione era permettere agli uomini non solo di riconoscere il contributo apportato dalle colleghe ma anche evitare che potessero appropriarsene rivendendolo come proprio.”
Kelly Bastow
L’amministrazione Obama ha fatto la storia negli USA e nel mondo non solo per l’operato, ma anche perché si è trattato del primo presidente a essersi definito, durante la sua carica, un femminista. Al di là della missione istituzionale, a lui va riconosciuto l’encomiabile sforzo di voler essere affiancato da donne e persone di colore in una realtà da sempre ad esclusivo predominio di uomini (bianchi).
Tuttavia, come riporta una ex aiutante di Barack al Washington Post, all’inaugurazione del suo mandato, il gabinetto di Obama era costituito per due terzi da uomini. La ridotta minoranza femminile doveva sgomitare per poter presiedere agli eventi più importanti e pur riuscendoci, la sua voce restava comunque ignorata. Si è dovuto aspettare il secondo mandato per vedere il gender balance sfiorare finalmente la parità, e che le donne fossero componente attiva ed espressamente richiesta dal Presidente degli Stati Uniti d’America.
Come è potuto avvenire questo miracolo?
Grazie a una strategia attuata, a ogni meeting, da quella minoranza inascoltata di donne. Avveniva che, ogni qualvolta una collega delineasse un punto chiave, tutte le altre le facessero eco, ripetendo e accreditando la tesi e la sua autrice, ogni giorno. La suddetta strategia ha preso il nome di “amplification”.
L’intento alla base dell’amplificazione era permettere agli uomini non solo di riconoscere il contributo apportato dalle donne ma anche evitare che potessero appropriarsene rivendendolo come proprio. È un’esperienza tristemente nota per molte proporre idee in un meeting e vederle non notate o riconosciute finché non è un uomo a ripeterle. Innumerevoli studi mostrano come le donne vengano interrotte più spesso, da uomini e donne, ricevano meno credito o siano persino penalizzate per aver parlato di più.
L’amplification strategy è stata vincente nella sua missione. Obama ha infatti da subito iniziato a notarla, consultando sempre più le sue assistenti e facendo sì che esse guadagnassero la parità durante il suo secondo mandato.
L’amplification è legata a un altro fenomeno più noto che va sotto il nome di Shine Theory, il cui motto è “I don’t shine if you don’t shine”. Il termine è apparso per la prima volta nel popolare podcast Call Your Girlfriend ad opera delle autrici Ann Friedman e Aminatou Sow.
La Shine Theory nasce dall’intento di fermare quella che è la seconda piaga che spesso le donne si trovano a fronteggiare nel mondo professionale e personale, una lotta intestina, ovvero la spietata competizione tra donne stesse. Sia essa dovuta a quella invisibile ma vigente legge nella cultura femminile per cui vale la “regola del potere tra pari” coniata da Pat Heim; sia essa legata all’effettiva difficoltà delle donne nel farsi strada in un mondo di uomini, per cui spesso finiscono per assumere atteggiamenti maschili o riconosciuti dalla società patriarcale. Come se, per ottenere e mantenere la sudata vetta raggiunta, dovessero convincere gli uomini che non sono come le altre, mettendosi quindi in competizione con loro (vedi sindrome dell’ape regina).
Ann Friedman ci ricorda la portata rivoluzionaria e vincente della solidarietà femminile e vede nella Shine Theory la possibilità di giungere al successo, proprio beneficiando della luce delle donne che ci circondano e non soffrendone la loro ombra.
La giornalista infatti afferma:
“Quando incontri una donna intimidatoriamente arguta, elegante, bella e professionalmente esperta, sii sua amica. La gente ti conosce anche dalla compagnia che hai. Circondarti delle persone migliori non ti scredita al loro confronto. Ti rende migliore”.
La Shine Theory è quindi un esercizio di investimento reciproco, è un contagio positivo che include tutte senza esclusioni, discriminazioni, contraccolpi.
Ed è questo che hanno fatto, forse senza neanche saperlo, le donne del gabinetto di Obama; si sono sostenute a vicenda permettendo a ognuna di brillare. Consapevoli e sicure che non solo la vittoria di una era una vittoria anche per loro stesse, ma soprattutto che, così facendo, ci sarebbe stato spazio e luce per tutte.
“I don’t shine if you don’t shine.”
Articolo di Letizia Muro, immagine di Claudia Valentini.