Lara Croft e le altre. Le donne nell’industria del videogioco.

Le donne nell'industria del videogioco (Lara Croft e le altre). Nell'immagine una moderna suffragetta tiene in mano un joystick

Quando ho scritto i miei primi due articoli per questo blog, Flavia mi ha chiesto se me la sentivo di prepararne un altro sul mondo dei videogiochi, forse ricordando che, da ragazzina, ne ero appassionata (unica femmina del gruppo, ma su questo torneremo tra poco). Lì per lì, le ho risposto di no: la mia “carriera” di giocatrice si è di fatto fermata ai tempi dell’università e di World of Warcraft, più anni fa di quanto mi piaccia ammettere.

Qualche mese dopo, però, mi sono imbattuta in questo articolo: A Wave of Sexual Harassment Accusations Is Sweeping the Games Industry. Ho provato subito a richiedere a VICE il permesso di tradurlo, ma non ho ricevuto nessuna risposta. Perciò, ve lo riassumo: nei giorni precedenti (il pezzo è del 23 giugno 2020), c’era stata un’ondata di persone che avevano denunciato molestie sessuali e abusi da parte di alcuni esponenti (maschili) dell’industria videoludica. Man mano che le vittime condividevano le proprie esperienze su Twitter, Medium, Twitch e così via, altre si erano aggiunte con i propri racconti. Qualcuno aveva addirittura creato una lista delle denunce qui. Come diretta conseguenza di queste accuse, alcune persone erano state licenziate, mentre altre aziende avevano preso atto delle sacche di ambienti tossici formatesi al proprio interno e avevano promesso di prendere provvedimenti.

Leggere questo articolo ha stimolato una riflessione sulle mie esperienze di videogiocatrice prima e di “addetta ai lavori” oggi, in quanto traduttrice di videogame. E ho deciso di metterle per iscritto.

Il mondo dei videogiochi, dalle sue origini fino a qualche anno fa, è sempre stato a netta preponderanza maschile. Come accennavo, vent’anni fa ero l’unica donna tra le mie conoscenze ad apprezzarli e a possedere una Play Station 1. Immagino che fossero considerati un passatempo per maschi immaturi, o forse, trattandosi di qualcosa di tecnologico, di un hobby impossibile da padroneggiare per una femmina. Molti videogiochi, poi, trattavano argomenti generalmente considerati “da ragazzi”, come le macchine veloci, la guerra e la lotta.

Da qui ai classici stereotipi sessisti il passo è breve. Personaggi femminili rappresentati in modi ultra sessualizzati, quando non apertamente dispregiativi. Con curve esagerate e pochi vestiti addosso. Deboli donzelle da salvare, oppure vittime di abusi in giochi come Grand Theft Auto V, che hanno contribuito a “normalizzare” la violenza sulle donne in questo ambito. Quasi mai protagoniste attive e, nei pochi rari casi in cui lo erano, rese più “digeribili” al pubblico maschile con proporzioni irrealistiche e, di nuovo, abiti succinti (sì, sto pensando a voi, prime versioni di Lara Croft!). Trovate un video molto approfondito sull’argomento qui.

Fonte: Gamesgrabr.com

Purtroppo, anche il passo da questo al sessismo “in azione” è stato breve. E non mi riferisco solo ai casi di abusi di cui parlava l’articolo citato all’inizio, ma anche di tutte le piccole, grandi attenzioni di troppo subite dalle giocatrici da parte dei colleghi maschi, fenomeno naturalmente amplificato dalla possibilità di giocare online, connettendosi da remoto con persone da tutto il mondo, spesso senza conoscerle. Anche se, nel frattempo, il numero di videogiocatrici è aumentato considerevolmente (l’americana Entertainment Software Association stima che compongano circa la metà della popolazione mondiale dei gamer dal 2014), l’ultimo decennio ha visto un’impennata anche negli episodi di sessismo e molestie. Oppure, all’estremo opposto, di discriminazione ed emarginazione, con donne vittime di aperta ostilità o comunque ritenute meno all’altezza. Marie Claire riporta uno studio del 2012 in cui l’80% di chi giocava riteneva il sessismo in aumento all’interno della comunità videoludica e il 63% delle donne affermavano di essere state insultate in quanto tali durante una partita.

Ed ecco un recente ulteriore passo in là: le ragazze da “affittare” per giocare. Esistono infatti alcune piattaforme online su cui proporsi a sconosciuti per partite virtuali insieme. Niente di male fino a qui, se non fosse che l’idea è degenerata rapidamente e, stando ai racconti di chi utilizza queste vetrine, è ormai pratica diffusa tra i gamer maschi cercare ragazze non tanto per giocare, quanto per fare richieste a sfondo sessuale.

Come in tanti altri campi, le cose stanno cambiando anche sul fronte dei videogame, seppure a piccoli passi. Ci sono tante giocatrici, come si diceva. Il movimento #metoo del 2017 è servito a fare emergere i tanti abusi di cui scrivevo all’inizio, e il femminismo ha ampliato il suo sguardo fino a includere il settore: la NGO Feminist Frequency, per esempio, si impegna a diffondere una maggiore consapevolezza tra i media. Vengono sviluppati giochi con protagoniste femminili a tutto tondo (qui c’è una bella lista che include, a sorpresa, anche uno degli ultimi Tomb Raider… sì, Lara Croft, ci sei di nuovo di mezzo tu! Ne hai fatta di strada!). Ci sono donne che lavorano anche “dietro le quinte”, tra designer, produttrici, traduttrici e così via.

Ma uno studio del Boston Globe del 2013 riportava che la presenza femminile tra le game designer si fermava all’11% e tra le programmatrici addirittura al 3%, spesso peraltro con stipendi più bassi delle controparti maschili. E, negli ultimi anni, secondo le statistiche di Wiredil numero di videogiochi con protagoniste femminili come unica opzione è addirittura calato dopo essere aumentato lievemente nel 2015.La strada per un’industria del videogioco più inclusiva è ancora lunga. Però dai, non potrà essere più difficile che finire il primo Time Crisis con un solo gettone!


Articolo di Chiara Foppa Pedretti, immagine di Marina Ravizza.

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