Scienza e stereotipi di genere: come parliamo delle scienziate da Nobel.

Scienza e stereotipi di genere: come parliamo delle scienziate da nobel.

La scienza è una “cosa da uomini”, si sa. Le donne sono sensibili e affettuose, la scienza è dura e fredda. Le donne rappresentano la soggettività, mentre la scienza è oggettiva, come gli uomini. Le femmine sono creative, adatte alle arti e alla letteratura, la scienza lasciamola alla mente tipicamente logica, quella maschile. 

Questi sono solo alcuni dei pregiudizi che, per secoli, hanno tenuto le donne lontane dal mondo della scienza, o – per meglio dire – che hanno tenuto il mondo della scienza lontano dalle donne. In Europa, infatti, fino alla prima metà dell’Ottocento, le persone di genere femminile non potevano iscriversi all’università. E per le pochissime scienziate emerse nel corso della storia la vita è stata difficilissima: la società le ha discriminate, scoraggiate e oscurate in ogni modo. D’altronde, quante di loro avete studiato nei libri di scuola?

Fortunatamente adesso non c’è nessun divieto: la parità formale l’abbiamo raggiunta. Una donna, se vuole, è liberissima di iscriversi alla facoltà di Ingegneria. Però i dati ci dicono che comunque le ragazze, pur essendo libere di farlo, mediamente non lo fanno lo stesso. Secondo un rapporto del 2019 del MIUR le donne erano il 27,4% delle persone iscritte ai corsi di laurea in settori ingegneristici e tecnologici. E quello dell’ingegneria è solo un esempio: questo tipo di fenomeno, detto “segregazione orizzontale”, è infatti presente in tutti gli ambiti scientifici.

Ma perché? Se le donne adesso sono libere di scegliere, perché non scelgono la scienza? La risposta è che non basta non vietare loro di iscriversi a facoltà scientifiche. Le bambine e le ragazze fanno fatica a vedere sé stesse come scienziate in una società in cui i media dicono loro, più o meno implicitamente, che forse sono più adatte a fare altro. A studiare la letteratura, nel migliore dei casi. A cucire e fare bambinə, nel peggiore.

Attualmente la questione non sembra più riguardare divieti esterni ma collocarsi piuttosto sul piano della rappresentazione

scrivono Liliana Moro e Sara Sesti in “Scienziate nel tempo”.

Per la mia tesi di master in comunicazione della scienza ho deciso di indagare su quali siano attualmente le differenze nella narrazione degli scienziati e delle scienziate veicolate dai media (in particolare dai giornali online). Ho preso come esempio l’annuncio della vittoria del premio Nobel per la chimica 2020, andato a due donne, Jennifer Doudna ed Emmanuelle Charpentier, e l’annuncio della vittoria del premio Nobel per la medicina 2020, vinto da Micheal Honghton, Harvey Alter e Charles Rice, tre uomini. Facendo una ricerca per parole chiave, ho notato un po’ di cose interessanti. 

ESSERE UNA DONNA NELLA SCIENZA FA NOTIZIA

Una delle cose che ho scoperto è che, negli articoli che avevano come protagoniste le due scienziate premio Nobel, comparivano più volte parole che rimandavano al genere femminile, cioè “donna” e “femminile”. Di contro, le uniche volte in cui negli articoli ricorreva la parola “uomo” era per indicare l’umanità in generale, non il genere maschile dei vincitori. In uno degli articoli presi in considerazione per l’analisi, in particolare quello del Corriere.it, il fatto che le vincitrici del Nobel per la chimica fossero “due donne” è specificato addirittura nel titolo, dove viene posto anche l’accento sul fatto che sia “la terza volta” che questo accade.

Questo fa pensare che uno dei topic degli articoli dedicati alle due scienziate fosse proprio il loro genere. Ed è vero che da Marie Curie al 2020 le scienziate vincitrici di un Nobel sono state solamente 24, ma porre l’accento su questo aspetto, cioè sull’eccezionalità dell’evento, non fa altro che perpetuare lo stereotipo che la scienza sia una “cosa da uomini” e che, se poi ci capita in mezzo qualche donna, è un fatto straordinario, notiziabile, che non rappresenta e non può rappresentare la normalità. 

Negli articoli di Repubblica.it, la giornalista si mostra stupita del fatto che a Doudna e Charpentier non sia stato associato anche il nome di un uomo, visto che a vincere il Nobel in una categoria possono essere fino tre scienziati:

è la prima volta che nessun uomo entra tra i vincitori di un Nobel. Per CRISPR non mancavano certo i candidati, e l’Accademia delle scienze avrebbe potuto aggiungere un altro vincitore: il massimo è tre”, scrive.

Ma forse non è così assurdo pensare che nel 2020 nessun uomo abbia meritato la vittoria del premio Nobel per la chimica, no? Il problema è che nell’immaginario della società sono gli uomini a dover occupare determinate posizioni in ambito scientifico e a vincere premi; se sono le donne a farlo, sembra assurdo, strano, anche un po’ fastidioso.

LA DONNA NELLA SCIENZA È SEMPRE E COMUNQUE MAMMA

Altri termini che ho cercato sono quelli legati al ruolo genitoriale. E indovinate? “Mamma” e “madre” ricorrevano qualche volta, mentre “padre” e “papà” mai. Sarà un caso? Quello che penso io è che, nel nostro immaginario, la donna è sempre e comunque associata alla maternità, mentre la paternità non ci verrebbe mai in mente parlando di tre uomini che hanno vinto il Nobel per la medicina. “Mamma e nuotatrice”, per esempio, titolavano alcuni articoli dedicati ad Andrea Ghez, premio Nobel per la fisica 2020, come se ciò che più potrebbe interessarci di una scienziata che si occupa di buchi neri sia la sua prole o ciò che fa nel tempo libero. Ma anche quando è usato in senso figurato, ad esempio in “madre del metodo CRISPR”, il termine rimanda comunque al ruolo tradizionale che la donna rappresenta sempre, nello stereotipo, anche quando si sta parlando dei suoi successi accademici. Rappresentare le scienziate come prima di tutto madri è un modo per porre l’accento sulla loro vita privata e familiare, sminuendo o comunque facendo passare come marginale la loro carriera.

SCIENZIATA MA PURE CASALINGA E ATTENTA ALLA MODA

Leggendo gli articoli dedicati alla vittoria del premio Nobel per la chimica da parte di Doudna e Charpentier, quello che spicca subito all’occhio è il gran numero di metafore legate al mondo del cucito. “Taglia e cuci del DNA” viene scritto moltissime volte per parlare del metodo CRISPR, quello per cui le scienziate hanno vinto il Nobel. Le ricercatrici vengono anche chiamate “couturier”, termine francese che vuol dire “creatore di moda” e descritte come “eleganti” e “solari”. Insomma, gli articoli hanno descritto il lavoro delle scienziate attraverso metafore che rimandano al mondo della sartoria e della moda, carriere tradizionalmente femminili che ricalcano lo stereotipo della donna casalinga che cuce e rammenda, e che pensa ai vestiti, più che alla scienza.         

NON C’È SPAZIO PER IL CURRICULUM ACCADEMICO DELLE DONNE NELLA SCIENZA

Finora l’ho dato per scontato, ma ovviamente, leggendo gli articoli sui tre scienziati premio Nobel per la medicina 2020, questo tipo di metafore non si trovano. Anzi, cercando le parole “impegno” e “lavoro” si scopre che ricorrono più spesso negli articoli dedicati a Honghton, Alter e Rice. E si scopre anche che ai tre uomini sono dedicate più righe di curriculum, anche se tutti e cinque i premi Nobel hanno alle spalle una lunga carriera accademica. Forse potevamo aspettarcelo: se lo spazio degli articoli sulle scienziate è dedicato al loro essere donne, madri e casalinghe, non ne rimane molto per i loro successi accademici.    

Insomma, da quest’unico esempio si può già intuire che l’immaginario comune, veicolato dai media, vede le donne come meno portate per la scienza rispetto agli uomini. Raramente questo pensiero viene esplicitato, ma basta anche solo che lə giornalistə usino determinate parole piuttosto che altre, o metafore che evochino il ruolo tradizionale della donna, per contribuire a diffondere e perpetuare gli stessi stereotipi di genere che hanno tenuto le donne lontane dalla scienza nei secoli passati. E sono, poi, questi stessi stereotipi che minano all’autostima delle ragazze, facendole desistere dall’iscriversi a discipline scientifiche.


Articolo di Virginia Marchionni, immagine di Marina Ravizza.

Pubblicato da Virginia Marchionni

Comunicatrice della scienza, anima silenziosa, instancabile lettrice. Creatrice di Scienza alle femmine.

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