Il futuro nelle nostre tasche

Il futuro nelle nostre tasche. Che le tue tasche siano pesanti e il cuore leggero.

La moda “binaria” è piena di accessori e capi che necessitano di essere de-colonizzati da un certo tipo di pensiero, quello che ad esempio ci vuole ancora sexy ma dipendenti (vedi “slacciami/allacciami questa zip qui dietro”) o veloci ma non troppo (vedi i tacchi), ma la tasca, questo “add-on” all’apparenza così neutrale per la sua intrinseca funzionalità, nasconde un’insidia ben peggiore, una disparità spesso celata agli occhi dei più, del resto, come dice il detto: “il diavolo si nasconde nei dettagli”. 
Ho trovato perciò utile rileggere l’evoluzione delle nostre tasche, e posso dire di aver compiuto un vero e proprio viaggio nella storia della disparità. Un iter fatto di miscredenze, convinzioni limitanti e persino scelte politiche, dove la questione, guarda un po’, si gioca spesso su forme e dimensioni.  

LA STORIA  

Nel Medioevo uomini e donne sono uguali in quanto a tasche. Queste non esistono come propriamente le conosciamo, ma sono dei sacchetti legati alla cintura, portati esternamente. Nel XIII secolo la società rurale inizia a modificarsi e per paura dei ladri queste “tasche-borse” passano sotto i vestiti, accessibili tramite fessure strategiche nelle giacche degli uomini e nelle sottogonne delle donne. Le cose proseguono fino al 17esimo secolo, quando si iniziano a cucire le tasche direttamente nei vestiti e più vicine alla vita per un maggior controllo dei propri effetti personali. Le donne però restano fuori da questa innovazione: tecnicamente era considerato sconvenevole per noi nascondere le mani (se non per indossare dei fantastici guanti), per cui continuiamo ad affidarci alle sacche sotto i vestiti, che per altro trasportavano di tutto: monete ma anche utensili per fare a maglia, bottiglie, dolci, fazzoletti e forbici. Erano se non altro cucite intorno alla vita, e per carità, erano anche funzionali per la silhouette dell’epoca, se per “funzionale” intendiamo che dovevano sostenere un certo ideale di bellezza.

Ed è qui che il primo seme del vestire in modo “socialmente accettabile” si fa sentire, nascosto tra gonna e sottogonna, finché la Rivoluzione Francese arriva con una nuova batosta: mentre gli aristocratici si godono il loro primo streetwear mutuando i pantaloni dai sans-culottes, per le donne arrivano le silhouette slim che fanno tanto “futuro”, purché non si indossino tasche, né fuori né dentro. Secondo gli intelligenti dell’epoca, la donna aveva già quattro tasche naturali, il seno e i fianchi”, e poi così si teneva sotto controllo la rivoluzione (non potevamo “trafficare” materiale eversivo).

Ecco un secondo rinforzo negativo: non solo è sconveniente per noi nascondere le mani, è sconveniente avere qualcosa da nascondere.  Soprattutto perché le tasche portano con sé i retaggi della nobile arte della stregoneria.

Così questo “rifugio interno” lascia spazio alle borse, col contenuto ben esposto al pubblico così da dimostrare le buone intenzioni, dal momento che si trattava di reti (reticules) a cui si affiancano più tardi le chatelains, cinture a cui si attaccavano i nostri effetti personali (a me ricordano i charm), e sulle quali le influencer dell’epoca avevano già tirato fuori dei meme straordinari.

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Per completezza di informazione, la letteratura dell’epoca suggeriva di non abbandonare la tradizione e di continuare a usare le tasche. Un raro esempio in cui tornare al passato ci avrebbe regalato più futuro. Nel 1819 il libro “18 Maxims of Neat and Disorder” recitava con una certa ironia: ‘Discard forever that modern invention called a ridicule (properly reticule).’
Era forse troppo tardi. Già condizionate dalle proposte di stile dell’epoca, abbiamo dovuto aspettare la  fine del secolo per una nuova rivendicazione, con la nascita a Londra della Society for Rational Dress, che si opponeva ai corsetti e proponeva di usare pantaloni larghi per dare alle donne maggiore libertà di movimento, in particolare per andare in bicicletta. I vestiti auspicati dalla Society for Rational Dress avevano anche molte tasche, che erano ampie e permettevano di tenerci dentro le mani, un gesto considerato generalmente poco educato e femminile. 

Il ventesimo secolo segna la dicotomia borse/tasche: da un lato, possiamo truccarci e fumare in pubblico, per cui la borsa inizia a diventare un alleato di tendenza; dall’altro, viene portata avanti la questione sociale: circolano manuali su come cucire tasche sulle proprie gonne e arriva la prima ondata di suffragette, che rivendica la sua posizione nella società anche con l’abbigliamento. Le manifestanti indossano completi anche con 8 tasche, di cui molte nascoste, rivendicando un diritto naturale alla propria privacy che ben presto diventa il capo più virale del momento (qui il NY Times nel 1910).

Partita che sembra risolta dunque, grazie anche all’esplosione dei blue jeans tra le due guerre, ma una volta ottenuto il voto e deposti i lavori dei campi, queste “uniformi” perdono interesse, tanto che sembra che Dior stesso affermasse, nel 1954 che

“gli uomini hanno tasche per metterci qualcosa dentro, le donne per decorazione”.

La questione egualitaria si sposta sui capi più che sui dettagli, relegando le tasche a una posizione subordinata e per lo più estetica. Spogliate da ogni significato intrinseco, queste sono diventate sempre più piccole, fino ad arrivare a sparire del tutto nelle “fockets”, le tasche finte che hanno adornato jeggings e vestiti

Per riprendere con la stessa verve la questione delle tasche, delle loro dimensioni e del significato politico e sociale che hanno avuto nella gender parity dovremo aspettare il 2014, dove movimenti come “He for She” da un lato, e 6 generazioni di iPhone dall’altro, ci fanno tornare a interrogarci sul perché la moda ci voglia penalizzare. Ma il pensiero si è raffinato, e se prima la questione era “avere le tasche o meno”, qui ecco il problema dimensioni: secondo uno studio del 2018 le nostre tasche sarebbero ampie circa la metà di quelle degli uomini. Per dimostrarlo, si è misurata la capienza di telefoni e accessori di ultima generazione dimostrando come per noi sia difficile mettere questi oggetti in tasca senza che si vedano, scivolino via o cadano, col rischio magari di perderli per strada. 

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Fortunatamente questi semi non sono stati gettati al vento e molte donne hanno intrapreso iniziative ammirevoli e nuovi prodotti sul mercato volti a colmare il gap, come per esempio  Kings of Indigo, che propone jeans con tasche profonde come simbolo di uguaglianza salariale, o questo progetto su Kickstarter che nel 2019 ha raccolto 2540 sostenitori. Ci sono poi realtà, come HoldettePochePosh, che creano abiti con tasche, ed anche brand di workwear come Argentwork e Pivotte. La giornalista Eleni Aneziris invece, ha recentemente provato a correlare la dimensione delle sue tasche ai suoi livelli di produttività sul lavoro: dopo due settimane ha scoperto che la sua produttività effettivamente calava di un’ora e passa quando le tasche dei jeans che indossava non le permettevano di conservare agevolmente il telefono. Ha anche notato che la malsana abitudine di tenere gli oggetti in mano (anche se si ha dove metterli) ha bisogno di un bel po’ di tempo prima di essere rimossa, segno di quanto 300 anni senza tasche abbiano generato già solo nel nostro inconscio collettivo abitudini auto-limitanti rispetto alla nostra efficienza. 

Da qualche stagione, fortunatamente, la moda si gioca tutta sulle tasche: ci stiamo progressivamente approcciando alla non binarietà e la funzionalità sta soppiantando l’estetica “di un certo tipo”, segno che se la parità non è ancora conclusa la lezione è senz’altro appresa. Potremmo fare un discorso al contrario per le borse, e credo che molti uomini si troverebbero d’accordo.

E noi cosa possiamo fare, oggi, per contribuire a questo cambiamento?

  • Smettere di pensare che la femminilità non si possa esprimere al meglio in capi comodi e funzionali, anzi, creare dei rinforzi positivi nel nostro inconscio. Banalmente, predisporci mentalmente a fare e ricevere complimenti per un cargo pant e non solo per l’esclusiva tote bag. 
  • Pensiamo di più a noi e alla nostra comodità invece che a come fare “bella figura”.

Ma soprattutto… Scegliamo di comprare abiti con delle tasche adeguate! Smonteremo progressivamente il pensiero collettivo che ce ne ha voluto privare per ragioni di paura e controllo (e che ci spinge a tenere ancora il telefono in mano anche quando potremmo non farlo) e impareremo a silenziare quella voce interna che giudica sconveniente o “da maschiaccio” il nostro diritto a mettere le mani in tasca. 

“Che le tue tasche siano pesanti e il cuore leggero”.


Articolo di Nausica Montemurro, immagine di Marina Ravizza.

2 pensieri riguardo “Il futuro nelle nostre tasche

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