Comunicazione visiva: quanto è inclusiva e accessibile per le persone cieche e ipovedenti?

Comunicazione visiva: quanto è inclusiva? Quanto è inclusivo e accessibile il nostro modo di comunicare attraverso immagini e stimoli visivi? Nell'immagine sono riportate un paio di cuffie

Viviamo in un ecosistema in cui la comunicazione visiva fa da regina: immagini che accompagnano parole, che vogliono emozionare, coinvolgere, raccontare storie, generare conversioni. Ma quanto è inclusivo e accessibile il nostro modo di comunicare attraverso immagini e stimoli visivi?

Risolvere il problema di una persona per poi estendere la soluzione all’intera collettività (Solve for one, extend to many) è il motto introdotto qualche anno fa dal team di Inclusive Design di Microsoft. 

Si tratta di un concetto che riassume in poche ma precise parole uno dei pilastri della progettazione di esperienze digitali accessibili e inclusive, delle quali fanno parte anche le strategie di comunicazione visiva.

Quando parliamo di comunicazione visiva inclusiva ci riferiamo alle buone pratiche comunicative che permettono di creare prodotti fruibili senza barriere anche da persone con difficoltà visive, siano esse cieche o ipovedenti.

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, al mondo esistono almeno 2,2 miliardi di persone con una disabilità visiva. In Italia, secondo dati INPS del 2018, ci sono più di 122 mila persone cieche assolute o parziali, mentre si stima che le persone ipovedenti siano circa 1,5 milioni. Sulla base di stime pubblicate nel 2017, entro il 2030 il numero di persone con una disabilità visiva aumenterà di circa il 25%, anche a causa di patologie legate all’invecchiamento come la degenerazione maculare, il glaucoma e la retinopatia diabetica.

In questo contesto, quanto la comunicazione visiva di cui fruiamo ogni giorno è inclusiva e accessibile per le persone cieche e ipovedenti?

Abbiamo approfondito la questione con Giuseppe Carbone, Content Accessibility Design e Compliance Master presso una grande realtà aziendale italiana, che si occupa di accessibilità non solo per ragioni professionali ma anche personali.

Ciao Giuseppe, puoi raccontarci qualcosa di te?

Vivo in Calabria e sono diventato cieco nel 1992, quando avevo 18 anni. In quel momento mi si è aperto un paradigma di vita diverso, ho dovuto imparare a muovermi in un mondo nuovo.

Considerando le caratteristiche della mia disabilità, ho dovuto imparare ad affidarmi alla percezione aptica, che è la capacità di riconoscere gli oggetti grazie alla combinazione di tatto e propriocezione, cioè la consapevolezza del proprio corpo nello spazio.

Le persone cieche, sia quelle che lo sono dalla nascita sia quelle che lo diventano in seguito, si basano sulla connessione aptica per percepire la realtà in cui vivono.

Il 1992 è un anno speciale che segna i primi passi del digitale anche in Italia. Qual è stato il tuo rapporto con il digitale a partire da quegli anni?

Il mio contatto con il digitale è stato una diretta conseguenza della perdita della vista perché ho dovuto iniziare a leggere e a scrivere con strumenti nuovi. 

A quei tempi ancora non esistevano Windows né le interfacce utenti grafiche. 
Le comunicazioni informatiche passavano solo attraverso la riga di comando, il primo sistema che ho iniziato a usare quando ho perso la vista. 
Per continuare a leggere e a studiare mi sono servito di IBM Writing. All’epoca non esistevano ancora circolari ministeriali che tutelassero l’educazione delle persone con problemi di vista: all’esame di maturità avevo chiesto il permesso di svolgere le prove usando il computer, e dopo qualche reticenza ero riuscito a ottenerlo”.

Quindi sfatiamo lo stereotipo per cui le persone cieche si affidano soprattutto alla lettura con il sistema Braille?

“Sì. Io, per esempio, non ho mai praticato bene il Braille; quando ho iniziato a studiarlo mi sentivo come un bambino di sei anni che deve reimparare a leggere. 

Oggi il Braille si usa meno, vincono le tecnologie assistive, sono molto più comode. 

Però è importante specificare che il digitale è più comodo e inclusivo solo se davvero accessibile.”

Tra poco approfondiremo il tema dell’accessibilità, intanto ci puoi spiegare cosa sono le tecnologie assistive, come funzionano e in che modo aiutano le persone cieche o ipovedenti quando navigano sul web?

“Le tecnologie assistive sono hardware o software o combinazioni di questi che permettono la fruizione di contenuti digitali. Per avere un’idea immediata di tecnologia assistiva, pensa per esempio a Stephen Hawking e ad Acat, la tecnologia di sintesi vocale che gli permetteva di parlare.

Le persone cieche o ipovedenti usano due tipi di tecnologie:

  • lo screen reader, cioè il lettore di schermo;
  • il sistema di ingrandimento o zoom magnifier, che ingrandisce i caratteri, adatta i colori della pagina o regola il contrasto a seconda del sito web o dell’applicazione che si sta usando.

Quando si parla di queste tecnologie, accessibilità e compatibilità sono strettamente collegate. Per poter essere sfruttate al meglio, le tecnologie assistive hanno bisogno di siti web e prodotti digitali pensati e programmati applicando gli standard di accessibilità digitale e informatica.

Se questi standard non si rispettano, le persone con una difficoltà che richiede una configurazione speciale vengono completamente escluse.

Ricordiamo che escludere le persone dalla fruizione di questi prodotti e servizi è una negazione del diritto alla cittadinanza digitale, un concetto che nasce in Europa.

Negli Stati Uniti il concetto di accessibilità viene integrato nei sistemi informatici molto prima che da noi, grazie alla Section 508 che nel 1998 emenda il Rehabilitation Act del 1973. La clausola della Section 508 “richiede alle agenzie federali [del governo/settore pubblico] di rendere la loro tecnologia elettronica e informatica accessibile alle persone con disabilità”.

E invece come viene affrontato il tema dell’accessibilità in Italia?

Oggi lo standard riconosciuto sull’accessibilità è quello del consorzio W3C che si evolve parallelamente all’evoluzione digitale. 

Il W3C nasce con lo scopo di portare il web al suo pieno utilizzo. Le linee guida che contengono tutte le istruzioni per rendere i contenuti web accessibili sono le WCAG (Web Content Accessibility Guidelines).

Grazie anche alla legge europea sui servizi digitali (Digital Act) il tema dell’accessibilità arriva a toccare tutte le interfacce digitali, quindi non solo siti web ma anche applicazioni mobile, bancomat, totem e qualsiasi infrastruttura digitale. 

La Comunità Europea ha emanato queste indicazioni in modo che tutti gli stati europei inizino a implementarle entro il 2023. L’obiettivo è rendere obbligatoria l’applicazione delle linee guida sull’accessibilità per tutti i prodotti digitali a partire dal 2025. 

In Italia, la legge di riferimento per l’accessibilità digitale è la Legge n. 4 del 9 gennaio 2004 che norma i siti della Pubblica Amministrazione. 

Il recente Decreto Semplificazioni di luglio 2020 estende gli obblighi di accessibilità della legge del 2004 anche agli enti privati: questo significa che, entro giugno 2025, anche le aziende private dovranno offrire prodotti e servizi che rispettano i requisiti di accessibilità.

Quali sono le difficoltà più comuni che una persona con una difficoltà visiva trova navigando sui social, su un sito di eCommerce o usando app e altri prodotti digitali? Puoi farci degli esempi?

Il problema più grande è il non rispetto delle regole di accessibilità digitale di cui parlavamo poco fa. Alcuni esempi veloci?

Pensiamo ai social e all’uso di foto senza nessuna descrizione testuale (quello che tecnicamente si chiama alt-text o testo alternativo). Quando pubblichiamo una foto senza una didascalia che la descriva, stiamo silenziando l’immagine per le persone con difficoltà visive. La soluzione qui è semplice: ricordiamo di corredare le nostre foto anche con un alt-text che le descrivano.

La tecnologia dietro le più famose piattaforme social elabora automaticamente un alt-text ogni volta che carichiamo un’immagine nei nostri profili: ma questi testi generati automaticamente sono quasi sempre molto approssimativi e non riescono a spiegare gli aspetti emozionali di un’immagine, i sorrisi, le espressioni del viso.

Sui siti web e soprattutto negli eCommerce, invece, capita spesso di trovare il linguaggio direzionale, cioè i testi che danno istruzioni facendo riferimento a direzioni spaziali, come per esempio “Qui trovi la nostra migliore offerta!”, o “Scopri tutti i dettagli nel box a sinistra!”. 

Il problema del linguaggio direzionale è che non tiene conto del modo e del mezzo in cui le persone leggono quel contenuto: “qui” o “a sinistra” possono perdere senso quando si legge una pagina con un lettore di schermo.”

Parlando invece di comunicazione offline, secondo te sarebbe utile aggiungere le diciture sulle confezioni dei prodotti (ingredienti, info dell’azienda) anche in Braille?

“No, perché la tecnologia è già un supporto brillante che rende superfluo l’uso del Braille. Il Braille non è economico, occupa tanto spazio; basterebbe racchiudere tutte le informazioni relative a un prodotto fisico dentro un codice QR.

Anche la comunicazione visiva offline può essere accessibile alle persone che non vedono, con la tecnologia si possono fare grandi cose.”

La tecnologia degli assistenti vocali sta aiutando a trasformare la vita di persone cieche e ipovedenti in tutto il mondo. Se usi uno di questi strumenti, ci puoi raccontare quali sono le funzionalità che preferisci e in che modo facilitano la tua fruizione dei contenuti sul web?

“Io mi servo spesso di Google Home, faccio un uso molto comune degli assistenti vocali. Oltretutto posso collegarli agli elettrodomestici o ad altri supporti tecnologici e sfruttare la domotica accessibile: posso impostare da remoto l’accensione del forno, delle luci o del riscaldamento di casa.

Non uso invece gli assistenti vocali per navigare sul web, mi servo solo di computer, screen reader e smartphone: l’iPhone e l’iPad sono per me strumenti indispensabili sia nella vita personale che sul lavoro.”

Quali sono, secondo te, gli aspetti fondamentali che un’azienda dovrebbe tenere in considerazione per realizzare una comunicazione digitale visivamente accessibile? Secondo la tua esperienza, quali dettagli vengono ancora tralasciati? 

“Tra le assenze più grandi citerei le audio-descrizioni che servono a descrivere a voce i momenti silenziosi di un prodotto visivo come un film o una serie tv. Grazie a un’audio-descrizione posso capire tutto ciò che succede sullo schermo e recepire anche gli elementi che passano da un canale sensoriale diverso dalla vista.

In questo senso, i programmi Rai fanno già un buon lavoro perché commentano anche le scene mute, ma questo non succede sempre su altri canali televisivi o altri mezzi di comunicazione visiva.

Sarebbe bello se le aziende capissero che ogni messaggio che inviano al pubblico dovrebbe coinvolgere almeno due canali sensoriali. I messaggi che prevedono l’impiego di un unico canale sensoriale generano esclusione.

Per raggiungere questo obiettivo, credo che tutte le aziende dovrebbero abbracciare la filosofia del Design for All, il design inclusivo e olistico. 

Uno dei precursori del Design for All è stato Steve Jobs, il cui mantra era creare prodotti utilizzabili da chiunque. Apple è stata tra le prime aziende globali a incorporare caratteristiche che aiutano le persone ipovedenti o con disabilità a usare l’iPhone, l’iPad e i dispositivi iPod.

Tra i principi del Design for All c’è quello di progettare prodotti e servizi immaginando da subito le caratteristiche di cui una persona con specifiche necessità potrebbe avere bisogno. Significa considerare l’accessibilità uno dei pilastri fondanti del processo di progettazione del prodotto o dell’esperienza digitale.

Steve Jobs e la Apple non sono certo benefattori, ma hanno capito immediatamente che alla base del successo di un prodotto c’è l’accessibilità e quindi la possibilità che venga utilizzato da chiunque.

Alle aziende che si interrogano sul futuro del digitale vorrei dire solo una cosa: chiedetelo a chi non vede.


Articolo di Alice Orrù, immagine di Marina Ravizza.

Si ringrazia Alexa Pantanella per il contatto e Giuseppe Carbone per la sua disponibilità.

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