Vi ricordate la faccenda dell’olio di palma? Lo abbiamo odiato e attaccato su ogni canale disponibile, ne abbiamo invocato il boicottaggio, e infine abbiamo vinto: oggi i nostri sonni sono tranquilli perché la scritta “senza olio di palma” campeggia rassicurante su quasi ogni prodotto da panificazione e dolciario della grande distribuzione. Magari non sapevamo esattamente cosa fosse ad indignarci così tanto – facevate parte del team che lo demonizzava in quanto dannoso per l’ambiente o per la salute? – ma la mobilitazione popolare nata contro questo ingrediente è riuscita a impattare le decisioni sull’approvvigionamento delle materie prime di grandi, medie e piccole aziende produttrici di prodotti alimentari.
Non so se il mondo sia migliorato o peggiorato senza olio di palma, ma sono fermamente convinta che chi paga per acquistare un prodotto abbia il diritto di esigere che questo sia il migliore possibile, e che chi produce debba investire in ricerca e sviluppo, per rispondere in modo soddisfacente alle necessità e aspettative del proprio cliente. Questo è vero specialmente in uno scenario come quello odierno, in cui ognuno di noi viene definito “consumatore attivo”, capace quindi di informarsi.
Vi starete chiedendo, ma su Periodica non si parlava di mestruazioni e dintorni? Come siamo finiti e finite in un’elucubrazione sul rapporto tra domanda e offerta? È presto detto: c’è un mercato che nel corso della storia si è evoluto pochissimo, pur rivolgendosi ad un numero di clienti in continua crescita che rappresentano più di un quarto della popolazione mondiale, un mercato che risponde ad un’esigenza e non a un capriccio: il mercato dei prodotti per l’assorbenza mestruale.
Vi presento quindi il secondo numero di Periodica dedicato alla (poca) evoluzione nel mondo degli assorbenti: una storia fatta di qualche colpo di genio e tanta tradizione perché, come ci insegna l’olio di palma, se non siamo noi clienti a esigere un cambiamento, difficilmente lo otterremo.
FREE BLEEDING NELLE CAVERNE
Come per la moda, anche per quanto riguarda i prodotti mestruali – e verrebbe da dire a maggior ragione – ci sono andamenti ciclici. Negli anni ‘10 del XXI secolo, alcune attiviste hanno portato alla ribalta la pratica del free bleeding come forma di protesta femminista contro il costo e le tassazioni dei prodotti mestruali (ci torneremo più avanti). First reaction: shock (cit.), ma a ben pensarci il sanguinamento libero è stata la prima forma di gestione delle mestruazioni nella storia dell’umanità. Le nostre antenate erano preistoriche, ma non certo sprovvedute. Per scongiurare agguati di animali attratti dall’odore del sangue, durante le mestruazioni si ritiravano in grotte, data l’assenza di prodotti destinati all’assorbenza. Secondo alcuni antropologi, le mestruazioni diventavano un’occasione di socializzazione tra donne, che trascorrevano i giorni del flusso insieme, realizzando pitture rupestri e decorazioni del corpo con il sangue mestruale e, immaginiamo, chiacchierando di tutto e di più come faremmo anche noi oggi.
ANTENATI IPER BIO DEI TAMPONI MODERNI
La storia dell’assorbenza vera e propria inizia con soluzioni molto ingegnose e paragonabili ai moderni tamponi interni; non esistevano infatti le mutande – invenzione modernissima – e mancava di conseguenza un potenziale appoggio per un assorbente esterno.
Le pioniere dei tamponi furono senza dubbio le Egizie, che li realizzavano usando papiro ammorbidito e lino. Lo sappiamo con certezza grazie al ritrovamento del Papiro ginecologico di Kahun, il più antico testo medico conosciuto, risalente circa al 1800 a.C.. Contiene ben 35 paragrafi dedicati alla salute femminile, con focus su malattie ginecologiche, fertilità e persino contraccezione.
I materiali favoriti in Grecia e a Roma erano invece lana e stoffa, che venivano inseriti con il supporto di bastoncini di legno, o utilizzati come bende agganciate a cinture legate in vita.
PEZZUOLE, CINTURE E GREMBIULI MESTRUALI.
Quelli Medievali furono tempi di soluzioni creative e persino brillanti per quanto riguarda la gestione delle mestruazioni: vengono chiamati Secoli Oscuri come conseguenza di una scarsa conoscenza del periodo, non per l’assenza di buone idee.
La moda delle signore abbienti dell’epoca era caratterizzata da abiti rossi, perfetti per nascondere eventuali macchie di sangue; per tamponare il flusso si utilizzava un particolare muschio (ok, questo è un po’ oscuro) ad alto potere assorbente.
Tralasciando gli odorosi secoli del 1600 e 1700, in cui l’indicazione generale era quella di non lavarsi per evitare di aggravare i sintomi mestruali, approdiamo al 1800 per scoprire alcune novità nella gestione delle mestruazioni. Si utilizzavano cinture mestruali con tanto di fibbie e spille da balia per reggere stoffe e garze, equiparabili alle moderne versioni degli assorbenti lavabili, ma soprattutto fu introdotto il cosiddetto grembiule mestruale, un oggetto tanto buffo quanto ingegnoso. Ricordiamo che le mutande erano ancora un’utopia e che le cinture mestruali non erano poi così affidabili: fu per questo ideato un grembiule impermeabile da indossare sotto le gonne che, seppur scomodo e irritante per la pelle, permetteva di evitare di macchiare la seduta.
ASSORBENTI USA E GETTA
Il 1896 fu il memorabile anno in cui Johnson & Johnson presentò sul mercato Lister’s Towels, il primo brand di assorbenti in cotone compresso usa e getta, che potevano essere utilizzati con una cintura mestruale ideata per l’occasione, o posati sulle mutande che, nel frattempo, stavano finalmente iniziando a diffondersi. Un prodotto simile veniva presentato in contemporanea in Germania dal brand Hartmann.
Purtroppo, nonostante le premesse per il successo fossero molte, entrambi i lanci furono dei buchi nell’acqua. Come raccontato nel primo articolo di Periodica, le mestruazioni sono un tabù che può influire sul modo in cui parliamo o ci comportiamo. Fu così che, nonostante questi prodotti potessero semplificare e migliorare la gestione dell’igiene mestruale, l’imbarazzo nel richiederli ai negozianti ebbe la meglio e ne sancì il fallimento.
Furono alcune infermiere in servizio durante la Prima Guerra Mondiale a rendersi conto della maggior capacità assorbente del Cellucotton, una cellulosa di cui erano fatte le garze con cui si curavano le ferite dei soldati, rispetto al cotone compresso o alle stoffe utilizzate fino a quel momento per tamponare il flusso mestruale. L’azienda che la produceva, una volta finita la guerra, provò a riconvertire la propria produzione e vendere assorbenti, ma ancora una volta i tempi non erano maturi, principalmente a causa dell’imbarazzata reticenza delle clienti.
La soluzione si trovò negli anni ‘20 con un nuovo approccio distributivo self-service, basato sulla fornitura ai negozianti di scatole molto discrete in cui le clienti potevano inserire il denaro per gli assorbenti che, nel frattempo, erano diventati ancor più efficaci e comodi grazie all’introduzione del Kotex, ricavato dalla combinazione di cotone e tessuto.
Queste novità contribuirono in maniera decisa alla diffusione degli assorbenti usa e getta – che si affiancavano a versioni di assorbenti lavabili molto simili a quelli proposti anche oggi – a partire dagli anni ‘50. In pieno boom economico, la possibilità di gettare dopo poche ore di utilizzo un prodotto era la dimostrazione di benessere economico e consumistico, che ancora non doveva scontrarsi con i suoi nefasti impatti ambientali. Al contempo, garantiva la massima comodità ad una donna che si emancipava tramite il lavoro liberandosi dalla più complessa gestione degli assorbenti lavabili.
Da qui in poi gli assorbenti usa e getta si sono perfezionati tramite due migliorie sostanziali: la striscia adesiva sul retro presentata nel 1969 da Stayfree e che ha sancito di fatto il pensionamento delle cinture mestruali e la nascita delle ali negli anni 90, che hanno permesso di salvare dalle macchie innumerevoli mutande, tra le quali le mie di mestruata alle prime armi.
TAMPONI MODERNI
La storia dei tamponi interni è strettamente connessa a quella dei materiali per gli assorbenti esterni, di cui erano inizialmente una semplice versione arrotolata.
La nascita dell’assorbente interno moderno è legata al nome del dottor Earle Haas che, ispirandosi alle spugne mestruali, nel 1929 creò il primo tampone che poteva essere rimosso tramite filo, per poi brevettarlo nel 1931.
Il successo arriverà però con Gertrude Tendrich, imprenditrice di origine tedesca emigrata a Denver e portavoce di un po’ di sano girl power in questa storia, che comprendendo il potenziale del prodotto acquista nel 1936 da Haas marchio e brevetto per 32.000$ (circa 2,5 milioni di dollari odierni), per poi fondare l’impero di Tampax. Il successo è immediato specialmente negli Stati Uniti, dove il tampone interno con applicatore in cartone diventa la principale scelta per gestire le mestruazioni. Come vedremo nei prossimi numeri di Periodica, nel mondo le preferenze per i prodotti di assorbenza mestruale variano moltissimo a seconda di abitudini, cultura e credenze.
L’unico concorrente di Tampax è O.b. (letteralmente “senza assorbente esterno”, dal tedesco Ohne Binde) che nascerà in Germania nel 1947, definito tampone digitale per la modalità di inserimento senza applicatore.
Lo strapotere di mercato di Tampax e la presenza di pochi concorrenti, hanno portato alla conservazione dello status quo e a pochissime modifiche di questi prodotti negli ultimi 70 anni. Ma, al giorno d’oggi, oltre all’impatto negativo sull’ambiente, tipico di tutti i prodotti usa e getta, vi sono questioni impellenti circa l’opportunità di intervenire sulla composizione di qualcosa che viene inserito in una delle mucose più assorbenti del nostro corpo: la vagina. Il cotone che compone i tamponi infatti può essere coltivato con pesticidi se non certificato biologico e il rayon o la viscosa, fibre tessili semi-artificiali che si ottengono dalla polpa di legno rigenerata, vengono prodotti tramite procedimenti chimici.
COPPETTA MESTRUALE
Lo dichiaro subito per dovere di cronaca: i contenuti che seguono sono storicamente accurati, ma anche e soprattutto una dichiarazione d’amore.
Caratterizzata da elementi evidentemente rivoluzionari, la coppetta mi ha cambiato la vita (al pari solo delle lenti a contatto) e ha reso il mio rapporto con le mestruazioni decisamente amichevole. Prima della coppetta c’era solo scomodità, irritazioni e un’infinità di mutande macchiate. Poi una decina d’anni fa, leggendo il libro Green Marketing Manifesto di John Grant in preparazione ad un esame universitario, ho scoperto che nel lontano 1932 era stato inventato un oggetto di cui non avevo mai sentito parlare prima e che prometteva tutto ciò che avevo sempre cercato: comodità e sostenibilità ambientale. Il mercato era meno vivace di oggi e non sono riuscita a trovare la coppetta mestruale in Italia, l’ho acquistata dall’estero ed attesa per ben due lunghe settimane: una volta arrivata, è stato amore a prima mestruazione.
La storia della sua nascita è affascinante. Le prime coppette erano state ideate già a fine 800, ma fu l’attrice Leona Chalmers – che non poteva utilizzare l’ingombrante cintura mestruale sotto i costumi di scena – a brevettarne una versione del tutto simile a quelle odierne nel 1932. Il materiale era la gomma, in quanto il silicone medico non è stato usato fino al 2001. L’attrice pubblicò inoltre “The Intimate Side of a Woman’s Life”, manuale dedicato a mestruazioni e igiene intima, che non riuscì però a sostenere il successo della coppetta, che scomparve dalle scene fino a pochi anni fa, resa invisibile dai maggiori sforzi pubblicitari dedicati ai più lucrativi assorbenti e tamponi usa e getta.
Ancora oggi la coppetta, nonostante i suoi 100 anni di storia, è oggetto di preconcetti e timori. Una ricerca pubblicata nel 2019 dalla rivista Lancet Public Health, che ha esaminato a sua volta 43 studi precedenti, dimostra che questo prodotto è affidabile quanto un assorbente usa e getta, ma preferibile a livello igienico (anche nei Paesi del Sud del mondo con scarso accesso a misure igieniche), economico e ambientale.
Migliaia di anni di storia, miliardi di cicli mestruali, ed un grande tabù che ha minimizzato e censurato le conversazioni sulle mestruazioni e sui prodotti ad esse connessi. È così che ci troviamo oggi con delle versioni migliorate di prodotti che esistono in effetti da migliaia o centinaia di anni: assorbenti più soffici e profumati, tamponi più compatti (ma molto meno bio), e packaging più colorati che però continuiamo a nascondere. In un mondo che si trasforma quotidianamente e in cui la tecnologia ha un ruolo così pervasivo, colpisce che i prodotti per l’assorbenza mestruale nell’ultimo mezzo secolo abbiano visto avanzamenti di marketing, senza una vera innovazione.
Questo secondo articolo di Periodica si sta per concludere, ma l’evoluzione dei prodotti per l’assorbenza ha ancora tanta strada da fare per rispondere alle nuove esigenze, legate a maggior consapevolezza dei nostri corpi, delle dinamiche economiche legate al ciclo mestruale e dell’attenzione all’ambiente.
Ogni corpo è diverso, così come diverse sono le nostre vite. Non c’è un prodotto che vada bene allo stesso modo per ogni persona che abbia le mestruazioni.
Per questo è importante conoscere (e far conoscere) le alternative presenti sul mercato, poterle provare e scegliere ciò che ci fa stare meglio, senza perdere di vista l’obiettivo di chiedere che siano fatti maggior sforzi per rendere i prodotti per l’assorbenza mestruale più comodi, sani, sostenibili e accessibili.
Quest’ultimo punto è imprescindibile: esiste infatti una condizione denominata Period Poverty, che fa riferimento alla difficoltà o incapacità di far fronte all’acquisto dei prodotti necessari alla gestione della propria igiene mestruale.
All’interno di un sistema consumistico e capitalista però, la possibilità di scelta è basata sulla capacità di acquisto, che stride con la natura di prodotti come assorbenti, tamponi o coppette: necessari ed essenziali per chi ha mestruazioni.
Curios* di scoprirne di più? Tranquill*, lo approfondiremo nei prossimi articoli di Periodica.
Periodica è una rubrica a cura di Martina Palmese. Immagine di Alessandra D’Amico.